Casi in aumento, partito un progetto formativo del Dipartimento Medicina dell’Età Evolutiva: tre moduli, esperti a confronto e un nuovo approccio multidisciplinare di integrazione Ospedale-Territorio e coinvolgimento di Scuola e famiglia
Casi di Anoressia e Bulimia in aumento, ma anche altri disturbi collegati al rapporto con il cibo stanno investendo persone sempre più giovani, sotto i 14 anni. Sono circa ottanta i casi già presi in carico dall’inizio dell’anno ad oggi: un numero significativo, considerando che si tratta di interventi di alta complessità che richiedono un team multidisciplinare. Sul versante dei Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA), che in Italia colpiscono un giovane su tre, il Dipartimento Medicina dell’Età Evolutiva della ASL Bari è fortemente impegnato nel formare e dedicare le professionalità per innovare l’approccio terapeutico, finalizzato alla prevenzione ed alla cura.
E’ la materia complessa alla quale intende dare risposte il corso di formazione “I Disturbi del Comportamento Alimentare in Età evolutiva”, sottotitolo “Dalla diagnosi al trattamento multidisciplinare Ospedale-territorio”, articolato in tre moduli, l’ultimo in programma in questi giorni nella Sala Convegni dell’Ospedale San Paolo di Bari. Questa prima edizione è stata dedicata esclusivamente agli operatori sanitari del Dipartimento Medicina dell’Età Evolutiva: neuropsichiatri infantili, pediatri e infermieri ospedalieri, psicologi, educatori, terapisti della riabilitazione psichiatrica.
Del comitato scientifico fanno parte il dott. Mariano Manzionna, direttore del Dipartimento Medicina dell’Età Evolutiva della ASL Bari, il dott. Vito Lozito direttore Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza ASL Bari, la dott.ssa Marina Di Cagno psicologa e psicoterapeuta, la dott.ssa Anna Rosa Melillo psicologa e referente Formazione del Dipartimento Medicina dell’Età Evolutiva, a testimonianza dello sforzo di coinvolgere professionalità e strutture diverse che attraversa trasversalmente l’azienda sanitaria. Fondamentale l’apporto del prof Michele Rugo, medico, psichiatra, psicoterapeuta, esperto in Management sanitario e della sua équipe di docenti esperti nel trattamento dei DCA nella fanciullezza e in adolescenza, i quali hanno proposto un efficace modello multidisciplinare di presa in carico semiresidenziale e residenziale di persone in età evolutiva, anche gravi.
«Stiamo osservando un certo aumento dei casi clinici – rimarca il dott. Manzionna – anche legati al periodo post-pandemico e per questo abbiamo iniziato ad attivare, con la formazione, un gruppo di lavoro per delineare una presa in carico multidisciplinare che operi su diversi piani, dalla prevenzione alla cura».
Impegno richiesto, del resto, dalla stessa complessità dei Disturbi del Comportamento Alimentare, un gruppo di condizioni cliniche estremamente complesse, caratterizzate da anomalie negli schemi di alimentazione, da un’eccessiva preoccupazione per la forma fisica, da un’alterata percezione dell’immagine corporea e da segnali d’allarme (diete dimagranti, eccessiva attività fisica, calo ponderale significativo, cambiamento d’umore ecc.), alcuni dei quali possono significare un disagio psicologico profondo per i quali è necessario cercare tempestivamente l’aiuto del professionisti.
«I casi di DCA sono aumentati del 30% – spiega la psicologa della Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza Marina Di Cagno – e le richieste di prima visita del 50%, con un aumento della patologia di quasi il 40% rispetto a qualche anno fa e con un ulteriore abbassamento dell’età di esordio sotto i 14 anni. Gli adolescenti sono vulnerabili, timorosi del giudizio sociale e di quello dei pari, soprattutto nella fase di costruzione della propria identità. Le famiglie, i genitori richiedono percorsi di “parent training” personalizzati. Per la nostra esperienza, intercettare l’esordio, i primi segnali di un sospetto DCA a 9-11 anni significa intervenire tempestivamente, programmare la cura personalizzata, migliorare la prognosi».
Rilevato il bisogno, il gruppo di lavoro sta dunque studiando le contromisure. Quella iniziale è la prevenzione primaria nelle scuole, poi la stessa scuola, ai primi segnali di allarme, può fare da filtro rispetto alla famiglia, al medico di base, con ciò migliorando la prognosi.
«La complessità delle cure dei DCA in fanciullezza e adolescenza – rileva il dott. Vito Lozito – richiede un percorso diagnostico–assistenziale del Dipartimento che consentirà di creare una fattiva integrazione ospedale-territorio, ossia tra le Pediatrie ospedaliere e la Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, e poter offrire in futuro una omogeneità di offerta di assistenza territoriale, sempre più in prossimità del contesto di vita del paziente, della sua famiglia e della sua Scuola».