Inaugurata nel reparto di Ematologia e Terapia Cellulare dell’Istituto Tumori “Giovanni Paolo II” – IRCCS di Bari la mostra itinerante “Il volto dell’ITP”, promossa da AIPIT Onlus (Associazione Italiana Porpora Immune Trombocitopenica) in partnership con Amgen e in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Brera. Il progetto prevede l’esposizione dieci opere per dieci sedi espositive in tutta Italia.
Con un’incidenza annuale stimata da 1 a 6 casi ogni 100 mila abitanti1 e con una maggiore frequenza nel genere femminile in età più giovane, la piastrinopenia autoimmune appartiene infatti alla famiglia delle patologie meno diffuse e di conseguenza meno conosciute. Su base autoimmune, cioè dovuta a un errato funzionamento del sistema immunitario, l’ITP comporta una drastica riduzione delle piastrine nel sangue (meno di 100 mila per microlitro di sangue) ed è caratterizzata dal fatto di non avere sempre lo stesso “volto”, proprio perché la sintomatologia varia a seconda dei casi.
Il senso di fragilità del proprio corpo, la vergogna per i “segni lasciati sulla pelle” e il timore per il futuro sono alcuni dei temi presenti nelle testimonianze dei pazienti che hanno maggiormente ispirato i 13 studenti del biennio di specializzazione in Terapeutica Artistica dell’Accademia di Belle Arti di Brera coinvolti nell’iniziativa. Obiettivo comune delle opere: fare leva sul linguaggio artistico per inviare un messaggio di speranza, come nel caso di “A(r)marsi” di Valentina Achilli, composizione di collages in cui la carta è metafora della vulnerabilità di chi è colpito da ITP, mentre la luce che filtra attraverso gli strappi della carta invita a cogliere la bellezza intrinseca a questa condizione. Specchiarsi in un mosaico di vetri infranti e ritrovare la propria immagine è invece l’esercizio terapeutico suggerito da “Vetrografia” di Caterina Simeoni e Giulia Carolina De Cesare, mentre con il loro “Aquilone combattente” – legato da un filo di canapa a una pila di analisi – Sara Che Farina e Lisa Fontana incitano a far volare la forza e il coraggio per affrontare una patologia a decorso cronico.
Dal punto di vista clinico non è sempre immediato dare un volto all’ITP: per molti pazienti la diagnosi richiede infatti tempo e arriva solo dopo ripetuti esami del sangue che alla lunga evidenziano la presenza di un insufficiente numero di piastrine. «Nell’80% dei casi si parla di piastrinopenia autoimmune idiopatica, cioè di una forma di cui non si conosce la causa, anche se questa patologia è ormai messa in correlazione dalla ricerca scientifica con uno scorretto funzionamento del sistema immunitario che causa la distruzione delle piastrine», spiega il dott. Attilio Guarini, direttore del Dipartimento Area Medica dell’IRCCS Istituto Tumori “Giovanni Paolo II” di Bari. «Petecchie e lividi che compaiono spontaneamente o in conseguenza del minimo trauma, così come sanguinamenti dal naso o delle mucose gengivali, sono sintomi che insospettiscono lo specialista, una volta interpellato, e facilitano l’individuazione della patologia. In circa 3 pazienti su 10 l’ITP non ha però manifestazioni visibili ed è solo caratterizzata da un continuo stato di spossatezza: per questo l’iter diagnostico non è sempre veloce e scontato. Ma una volta scoperta, questa malattia può essere efficacemente controllata con il ricorso non solo al cortisone e ad altri steroidi che tengono sotto controllo il sistema immunitario, ma anche e soprattutto grazie a nuovi farmaci che agiscono su specifiche cellule del midollo osseo, i megacariociti, per stimolare la trombopoiesi, ovvero la produzione di piastrine da parte dell’organismo».
Agire sul numero di piastrine non può e non deve comunque essere l’unico obiettivo terapeutico, perché il volto dell’ITP ha anche altri tratti distintivi che richiedono un approccio particolare da parte del medico curante. «La piastrinopenia autoimmune condiziona non solo la vita quotidiana del paziente, ma anche la sua salute in generale, perché qualsiasi trattamento medico (da una semplice radiografia a un’estrazione dentale come a un intervento chirurgico anche banale) diventa una situazione potenzialmente “a rischio”. Dopo la scoperta della patologia, ancora di più se questa avviene in giovane età, l’ematologo deve allora diventare il referente di fiducia del paziente, seguendolo a 360° riguardo tutte le sue problematiche di salute», prosegue il dott. Guarini. «Credo che questi bisogni siano efficacemente evidenziati nelle opere realizzate dai giovani artisti di Brera: per questo abbiamo deciso con estremo favore di ospitarle nel nostro reparto, che da tempo stiamo peraltro cercando di rendere “friendly” sotto diversi aspetti (a partire da una sala d’attesa costituita da tanti accoglienti salottini) proprio partendo dall’idea che non curiamo il numero di piastrine o altri problemi ematologici, ma le persone. In questo senso credo sia anche importante che i pazienti possano contare su un ambulatorio dedicato: nel caso dell’ITP, in particolare, ciò evita che ci sia da parte dello specialista una sottovalutazione delle problematiche connesse a una patologia che, pur essendo meno grave rispetto ad altre che ci troviamo ad affrontare da ematologi, è comunque cronica».
Corretta diagnosi, impostazione di una terapia mirata e conseguente convivenza con la malattia sono le tappe di un percorso sempre difficile da affrontare per chi è colpito dall’ITP. «Anche se la sintomatologia varia da soggetto a soggetto, il timore che petecchie, ematomi e sanguinamenti si manifestino all’improvviso e nel momento meno opportuno è il problema che accomuna tutti noi pazienti: non a caso molti pazienti per descrivere la propria ITP scelgono la parola “temporale”. Anche senza manifestazioni visibili, è poi sufficiente il grande senso di spossatezza indotto dalla malattia a instaurare una costante sensazione di disagio che complica qualsiasi impegno quotidiano», racconta Barbara Lovrencic, presidente di AIPIT Onlus. «È davvero sorprendente come questi giovani artisti abbiano saputo cogliere tutti questi aspetti emotivi connessi con l’ITP per dar vita a opere che rappresentano anche in maniera forte la difficoltà di questa condizione, ma che allo stesso tempo stimolano riflessioni positive sulla possibilità trasformare le debolezze in elementi di forza».
«Prossimi a concludere il biennio di specializzazione, gli studenti coinvolti in questa iniziativa hanno dimostrato di essere ormai formati come artisti terapisti per la capacità di individuare i temi suggeriti dai pazienti e reinterpretarli in chiave positiva», aggiunge con legittimo orgoglio Daniela Zarro, docente di Anatomia artistica all’Accademia di Brera. «La fragilità della pelle (intesa anche come luogo dell’identità), il disagio per l’immagine distorta dalla sintomatologia dell’ITP, la difficoltà ad accettare la nuova condizione e la paura per il futuro hanno ispirato le dieci opere proprio secondo i criteri della terapeutica artistica: utilizzare l’arte per favorire un lavoro di “restauro interiore”, di ricostruzione del proprio essere, suggerendo l’idea che il limite dato dalla malattia – se metabolizzato – può trasformarsi in un valore. Tante sono comunque le riflessioni che possono essere innescate da questi lavori, il cui messaggio è rivolto anche ai familiari dei malati e ai medici che le vedranno esposte proprio nel reparto in cui operano».
Di recente l’Assemblea generale dell’ONU, nell’ambito dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile, ha sottolineato, con la risoluzione “Addressing the challenges of persons living with a rare disease and their families”, l’importanza di sostenere nella loro sfida i 300 milioni di abitanti del Pianeta colpiti da malattie rare per migliorare la qualità della loro vita, favorendone l’inserimento sociale.2 Poiché l’ITP tende nella maggior parte dei casi a cronicizzarsi, la sua accettazione è un passaggio fondamentale anche per avere quel corretto approccio psicologico che favorisce l’effetto delle cure limitando le ripercussioni sul quotidiano.
«Riuscire ad avere una valida inclusione sociale è uno dei grandi problemi che si trovano ad affrontare le persone affette da malattie rare e i loro familiari», commenta Maria Luce Vegna, direttore medico Amgen Italia. «Se le terapie mirano a tenere sotto controllo la sintomatologia, servono però anche iniziative come questa, che abbiamo deciso di sostenere per la sua capacità di andare oltre l’aspetto strettamente clinico. Crediamo infatti che dare un “volto” all’ITP e con questa mostra itinerante arrivare nei centri in cui si affronta ogni giorno questa patologia, ponga l’accento sul vissuto psicologico della persona oltre che sulle necessità cliniche, contribuendo a migliorare l’accettazione e la convivenza con essa”.
Le opere e i profili degli artisti sono inoltre visibili sul sito dedicato https://ilvoltodellitp.aipit.com/, dove si puo’ anche trovare l’elenco aggiornato delle sedi della mostra con le relative date.
1. Analisi dell’epidemiologia e della farmaco-utilizzazione dei pazienti affetti da trombocitopenia immune primaria in contesti italiani (GIHTAD, 2021, 14:2).
2. https://digitallibrary.un.org/record/3953765?ln=en
Amgen
Da quaranta anni Amgen è impegnata a individuare soluzioni innovative in grado di rispondere ai bisogni terapeutici non soddisfatti dei pazienti affetti da patologie gravi ed è tra i leader mondiali in alcune delle principali aree terapeutiche come oncologia, ematologia, cardiovascolare, malattie infiammatorie, fragilità delle ossa e nefrologia.
Con un approccio efficacemente riassunto nell’espressione Biology First, Amgen è stata tra i pionieri di una ricerca biotecnologica che, avvalendosi delle risorse della genetica avanzata, analizza in profondità i processi biologici dell’organismo umano: quelli che provocano le malattie ma che, allo stesso tempo, racchiudono i potenziali rimedi ad esse.
Da sempre è a fianco di Istituzioni e Associazioni pazienti per sostenere iniziative volte a rendere migliore la convivenza con la malattia e sensibilizzare l’opinione pubblica sulla conoscenza di patologie rare come l’ITP.