di Domenico Meleleo – pediatra e nutrizionista sportivo
e Giovanna Susca – psicologa e psicoterapeuta
Oggi è la X Giornata nazionale del Fiocchetto Lilla. Promossa per la prima volta nel 2012 e sancita dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri nel 2018, questa giornata ha lo scopo di promuovere l’attenzione e l’informazione sul tema dei Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA), attraverso idonee iniziative di informazione e sensibilizzazione.
I DCA più diffusi sono la bulimia nervosa e l’anoressia nervosa. In Italia, studi pubblicati rilevano che l’anoressia colpisce dallo 0.2 allo 0.8 % della popolazione e la bulimia dal 1 al 5 % , in linea con i dati forniti dagli altri Paesi. Il rapporto tra prevalenza nelle donne e negli uomini si attesta tra 1 a 5 e 1 a 10 e l’età più frequente di insorgenza è l’adolescenza.
Si tratta di una patologia multifattoriale ovvero le cause possono essere tante e spesso difficilmente individuabili. Tra i fattori predisponenti vi possono essere la presenza di familiari che soffrono o hanno sofferto di un disturbo alimentare, avere una bassa autostima, essere stati vittime di bullismo, le difficoltà nelle relazioni interpersonali, il perfezionismo, essere insoddisfatti del proprio corpo, l’abuso di alcolici o di sostanze stupefacenti.
Una delle attività che costituisce un fattore di rischio per persone già predisposte all’insorgenza di DCA è l’attività sportiva agonistica. Infatti se è vero che la letteratura internazionale fornisce molte conferme degli effetti benefici fisici e psicologici della pratica sportiva, in termini di sviluppo fisico armonico, di aumento della autostima, e di promozione della socializzazione, stanno però emergendo, sempre di più, dei dati inquietanti rispetto a possibili fattori di rischio per l’insorgenza di DCA, connessi alla pratica di alcune discipline sportive.
Fra gli atleti adolescenti d’elite, i DCA si trovano nel 3% nei ragazzi e nel 14% nelle ragazze, pertanto in percentuali decisamente elevate rispetto a coetanei non atleti. Gli sport che esercitano un rischio maggiore possono essere classificati in tre gruppi principali:
1) sport gravitazionali, in cui il peso corporeo elevato riduce significativamente la performance (ad esempio: la corsa di fondo, lo scii di fondo e il ciclismo)
2) sport con classi di peso (ad esempio gli sport di combattimento, il sollevamento pesi e il canottaggio);
3) gli sport in cui gli aspetti estetici sono oggetto di valutazione (ad esempio la ginnastica artistica e ritmica e il nuoto sincronizzato).
L’esordio avviene dunque in quella fase evolutiva in cui i ragazzi, sportivi e non, si pongono tipicamente domande sull’adeguatezza della propria immagine corporea e sulla propria identità, ma per gli sportivi la questione è più complessa, ha più risvolti e spesso anche implicazioni più negative. Le pressioni psicologiche, gli allenamenti e la ricerca della forma perfetta sarebbero alla base del maggiore rischio di anoressia tra le atlete, per le quali è descritta anche la “Triade femminile dell’atleta” caratterizzata dalla contemporanea presenza di DCA, Amenorrea, Osteoporosi.
Parallelamente, sta aumentando l’uso di steroidi anabolizzanti, da parte di atleti professionisti e dilettanti, motivato dal desiderio di migliorare non solo la performance ma, soprattutto, l’immagine corporea, i quali vanno incontro maggiormente ad un tipo di disturbo chiamato “bigoressia”, una forma di Dismorfismo Corporeo, noto in passato con il nome di “Anoressia Inversa”, caratterizzato dalla preoccupazione che la propria costituzione corporea sia insufficientemente muscolosa e dalla ossessione di incrementarne le dimensioni.
L’identificazione dei DCA in ambito sportivo è molto complicata, poiché molti comportamenti a rischio, quali diete restrittive ed iperattività, possono essere considerati normali e socialmente accettabili, passando inosservati o sottostimati. A questo si aggiunge la negazione del problema, la resistenza a chiedere aiuto per non deludere allenatore, familiari e sostenitori. È dunque importante che tutti i professionisti (medici, allenatori, preparatori, dirigenti sportivi) che si prendono cura dell’atleta siano in grado di riconoscere precocemente i segni e i sintomi di questi comportamenti psicopatologici e che siano adeguatamente formati a riguardo. Inoltre è importante che questi promuovano all’interno delle comunità sportiva la cultura della sana alimentazione. Tali programmi di prevenzione dovrebbero necessariamente coinvolgere anche la famiglia e la scuola, così come in caso di necessita di terapia, vanno coinvolti anche altri specialisti (ad esempio psicoterapeuta e dietista), in un “lavoro di squadra”, indispensabile sia per la prevenzione che per la cura di tali pericolosi disturbi, che possono segnare indelebilmente la salute psico-fisica dei giovani che ne vengono colpiti.