Asportati a un 54enne una rarissima neoplasia maligna del timo, un lobo del polmone destro, un’altra porzione di quello sinistro, il pericardio fino all’aorta e parte del diaframma. L’intervento, eseguito da un team composto da chirurghi toracici, cardiochirurghi e cardioanestesisti, è stato effettuato nella sala operatoria ibrida dell’IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza per consentire la possibilità di fermare il cuore ed attivare la circolazione extracorporea «Avevo sintomi simil influenzali da più di 6 mesi, con periodi di raffreddore intenso intervallati da periodi in cui ero in buona salute, e un senso di forte oppressione al petto».
Antonio, 54enne di Vico del Gargano (FG), dopo i consigli del suo medico curante decide di sottoporsi ad alcuni accertamenti. Con una radiografia prima ed una tac poi, gli viene diagnosticata una neoplasia maligna del timo, un tumore molto raro che colpisce una piccola ghiandola situata nel mediastino, tra i polmoni, e che produce e rilascia cellule del sistema immunitario, i linfociti T. Subito dopo la diagnosi, il caso viene discusso dal team multidisciplinare della Lung Unit dell’IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza ‒ composto da oncologo, chirurgo toracico, cardiochirurgo, cardioanestesista, pneumologo, rianimatore e radioterapista ‒ che sceglie collegialmente di attuare un trattamento medico neo adiuvante.
«La strategia iniziale ‒ ha spiegato Concetta Di Micco, oncologa e coordinatrice della Lung Unit dell’Ospedale di San Giovanni Rotondo ‒ era di iniziare il trattamento con una terapia in grado di ridurre le dimensioni del tumore e permettere quindi un intervento chirurgico di asportazione. Il paziente ha risposto bene alla chemioterapia e, d’intesa con il gruppo di studio, si è deciso di programmare l’intervento chirurgico nei tempi prestabiliti dal protocollo». «Abbiamo convocato il paziente per informarlo delle possibilità di programmare l’intervento chirurgico e gli abbiamo chiesto, successivamente, di condividere le informazioni con la sua famiglia ‒ ha spiegato Marco Taurchini, direttore dell’Unità di Chirurga Toracica ‒. L’intervento era sì rischioso, ma vista l’età del paziente bisognava provarci senza esitazione». Mauro Cassese, direttore dell’Unità di Cardiochirurgia ha condiviso da subito l’idea di eseguire l’intervento nella sala operatoria ibrida della Cardiochirurgia: «avendo il sospetto di un’infiltrazione del tumore in alcuni vasi del cuore ‒ ha dichiarato ‒ abbiamo pensato di prepararci al peggio predisponendo, grazie all’apporto del personale di sala operatoria, tutto il necessario per fermare il cuore ed effettuare l’intervento mantenendo in vita il paziente con una circolazione extracorporea, tramite la cosiddetta macchina cuore-polmoni». Per l’intervento, che è durato poco più di 5 ore, hanno lavorato assieme tre gruppi di lavoro: Chirurgia Toracica, Cardiochirurgia e Cardioanestesia. Al paziente sono stati asportati una massa tumorale del diametro di 20 cm localizzata nel timo e alcuni organi vicini infiltrati dalla neoplasia: il lobo superiore del polmone destro, una porzione del lobo superiore del polmone sinistro, tutto il pericardio (la membrana che racchiude e protegge il cuore) fino all’aorta e il diaframma destro, che è stato in parte ricostruito. Il cuore per fortuna era intatto e non vi era nessuna compromissione delle strutture cardiache.Dopo una settimana di ricovero il paziente è stato dimesso in buone condizioni, non prima di aver effettuato ulteriori accertamenti. Continuerà ad essere seguito dall’Unità di Oncologia per i trattamenti del caso. «Ciò che più mi preme sottolineare è che un ottimo risultato come questo è stato possibile grazie alla programmazione e alla pianificazione attenta della strategia, delle variabili prevedibili e al lavoro di squadra di tutte le unità coinvolte ‒ ha concluso Taurchini ‒. Dobbiamo ringraziare anche Antonio che, assieme alla sua famiglia, ha condiviso i rischi anche infausti e le possibilità di ciò che ci accingevamo a fare. Dopo un solo giorno di riflessione ci ha contattati per accettare. Ha dimostrato un coraggio e una determinazione che ci hanno ulteriormente convinto che stavamo facendo la cosa giusta». «Ho avuto molta paura ‒ ha sottolineato Antonio, che di professione fa il custode ‒. Mi sono confrontato con mia moglie e con le mie figlie e ho deciso di provarci. Mi sono affidato a Padre Pio e ai chirurghi che lavorano nel suo Ospedale. È stato un rischio, ma di cui ero convinto. Io l’ho fatto per loro, la mia famiglia. Voglio ringraziare tutti, chirurghi, anestesisti, rianimatori, il personale di sala operatoria e anche quelli di reparto. Le mie preghiere sono state ascoltate, pregherò per tutti voi».